MAESTÀ SOFFERENTE – Non-provocazione che offende le donne o sana provocazione?

mercoledì, 2 ottobre 2019

CANTÙ – Fa discutere e ha subìto pure un tentativo di "sfregio" l'installazione in piazza di Gaetano Pesce. Un dibattito estetico e di merito che si estende tanto da coinvolgere anche la nostra redazione.

Ne scaturisce un doppio intervento, curato da collaboratori del Canturino News che la vedono in modo diverso - anche se non propriamente opposto.

Ecco le loro opinioni:
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Riccardo Intini

Provocazione o non provocazione, that is the question. Con l’installazione della Maestà Sofferente in piazza Garibaldi, il Comune di Cantù ha voluto preparare la città al Festival del Legno, inserito – come da stessa ammissione del Comune – in un contesto generale legato al concetto di “provocazione”. Generale, dunque, non particolare. Ciò significa che la provocazione non si limita al significato insito nell’opera di Gaetano Pesce, ma riguarda tutto il Festival del Legno e i suoi eventi collaterali, alcuni dei quali ideati con un chiaro intento provocatorio.

L’operazione del Comune è nobile, su questo non vi è alcun dubbio.
Trasportare nel centro di Cantù un’opera come quella di Pesce, con tutta la sua potenza evocativa, significa schierarsi convintamente e senza tentennamenti dalla parte delle donne, dalla parte di tutte quelle migliaia di vittime che ogni giorno, in ogni parte del mondo, sono costrette a subire violenze e prevaricazioni di ogni genere, spesso senza poter alzare la voce per potersi difendere dai loro oppressori.

L’inserimento dell’opera di Pesce in un contesto come quello del Festival del Legno, e in particolare all’interno dell’edizione di quest’anno, presenta tuttavia diversi problemi. Il primo, e il più evidente, è quello legato al contesto generale in cui è stata inserita. Un’opera già di per sé provocatoria, se inserita in un contesto generale volutamente provocatorio, rischia di perdere tutta la sua potenza, tutta la sua carica provocatoria. In effetti, è come se le due cariche si annullassero.

Il tema della violenza contro le donne è di grande portata, e senza ombra di dubbio non può manifestarsi soltanto in “contesti provocatori”, come quello elaborato dal Comune di Cantù per il Festival del Legno. È un tema così importante che dovrebbe essere parte integrante della nostra quotidianità, di qualsiasi contesto sociale e urbano, senza alcun genere di pretesto legato a eventi o a manifestazioni particolari.

A guardar bene, quella del Comune è una non-provocazione. Volendo essere un po' maliziosi, potremmo dire che la Maestà Sofferente, inserita in un contesto del genere, rischia di produrre l’effetto opposto a quello desiderato, offendendo le donne.

Della violenza contro le donne si dovrebbe parlare sempre e ovunque, e non unicamente all’interno di contesti provocatori. È uno dei grandi temi dei nostri tempi, e bisogna tributargli tutta la dignità che merita.

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Simona Di Domenico

Verrà un giorno in cui provocare non significherà più solo contrastare con rabbia ma anche accompagnare pacificamente la comunità verso un cambiamento necessario: non smetterò mai di credere che ogni società debba provocare, continuamente, per poter progredire.

La violenza sulle donne è tangibile, reale, frena ogni progresso umano e merita di essere approfondita sotto tutti i punti di vista ecco perchè portare la Maestà Sofferente in piazza Garibaldi, nel cuore di Cantù, è un gesto coraggioso e necessario: un'opera creata da un uomo (il maestro Gaetano Pesce) presentata, voluta e approvata da due uomini in particolare ovvero il vicesindaco Giuseppe Molteni e l'assessore a Patrimonio, Mobilità, Personale e Reperimento fondi pubblici Matteo Ferrari.

E non è  da tutti, credetemi, perchè per molti questo crimine è "una brutta robaccia" sì, ma riguarda le donne "che c'entra con me?".

L'opera di Pesce crea una sensazione di straniamento, è vero, ma dice la verità: per una parte della società (non solo maschile) la donna non è altro che un corpo senza testa, braccia e gambe, una "cosa" da infilzare con molteplici lance e negarlo non fa altro che rallentare ogni soluzione.

C'è un solo modo per fermare questo crimine ed è quello di sensibilizzare l'intera comunità, di capire che non siamo di fronte a uno scontro di uomini contro donne bensì una battaglia di uomini e donne perbene uniti contro dei criminali: finchè sarà solo una battaglia femminile (e neanche di tutte le donne), finchè da una parte di uomini ci sarà solo menefreghismo, poco cambierà, ecco perchè considero la presenza di quest'opera una sana provocazione.

Ogni donna potrebbe parlare a lungo di quante volte si sia sentita trafitta da lance (metaforiche in alcuni casi e maledettamente reali, purtroppo, in altri che riempono le pagine di cronaca) che le rimproveravano di non essere abbastanza meritevoli, intelligenti, belle, di non amare a sufficienza, di non essere  femminili, giovani e capaci.

Colpite da violenza perchè pretendiamo la libertà di essere ciò che vogliamo.

Segni indelebili, percepibili solo da chi ha occhi per vedere e ringrazio il maestro Pesce, Molteni e Ferrari per aver visto, per aver capito che non siamo delle visionarie, e aver manifestato pacificamente e pubblicamente il loro desiderio di schierarsi contro tutto questo.

Ancor di più li ringrazierò se altri seguiranno il loro esempio.

 

 

 

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