RUBRICA SOSTENIBILITÀ – Quanto è (in)sostenibile il mondo della moda?

mercoledì, 20 ottobre 2021

RUBRICA - Il nostro Paese ha molte eccellenze di cui andare fieri, tra queste l'industria della moda brilla particolarmente: star e gente comune farebbero carte false per un capo pregiato rigorosamente Made in Italy.

Ma quando lo scintillio delle sfilate e degli innumerevoli eventi che riempiono di sogni le riviste patinate si dissipa, ecco sorgere numerosi dubbi che ci conducono in meandri non proprio rassicuranti come racconta Pasquale Coppolella, consulente aziendale sulla sostenibilità.

Dottor Coppolella, il mondo della moda influisce sulla sostenibilità? 

Le informazioni disponibili più recenti dicono che quella della moda è l’industria che per inquinamento si colloca al secondo posto dopo quella dell’energia. Che sia al secondo, al terzo o al quarto posto, la cosa importante è che essa è assolutamente insostenibile, almeno nelle condizioni in cui ha operato fino a qualche anno fa. Insostenibile dal punto di vista ambientale e, in modo importante, dal punto di vista sociale.  Uno dei termini più utilizzati di recente è  “fast fashion”: con questa espressione si fa riferimento a quelle aziende di abbigliamento che producono e vendono capi economici e alla moda, proponendone continuamente di nuovi. A causa di questo fenomeno e, aggiungiamo, anche a causa dell’aumento della popolazione, i consumi pro capite di fibra tessile sono cresciuti negli ultimi 15 anni di circa il 70%% dal 2000 al 2019, cioè più di quanto siano aumentati nei quarant’anni precedenti. A rendere più drammatica l’esplosione dei consumi materiali della moda ha contribuito la crescita del reddito e dei consumi delle aree del mondo di recente industrializzazione, come ad esempio la Cina, dove i consumi di abbigliamento sono più che triplicati tra il 2002 il 2019. 80 miliardi di capi di ‘moda veloce’ sono prodotti ogni anno.  Secondo stime recenti, il 30% degli abiti acquistati resta appeso negli armadi, mai indossato. Una percentuale equivalente finisce ogni anno in discarica dopo essere stata utilizzata, in media, meno di cinque volte, ma spesso anche dopo un solo uso. In totale 14 milioni di tonnellate di abiti e tessuti usati sono gettati via ogni anno nel mondo, di cui solo il 16% viene riciclato.

Dal punto di vista dei materiali, purtroppo, ci sono brutte notizie: il cotone è davvero un vero killer per l’ambiente, dove la necessità di fertilizzanti e pesticidi è notevole e il fabbisogno di acqua ed energia altrettanto, mentre i materiali sintetici, quali ad esempio poliestere e poliammide sono dei veri generatori di microplastiche, che vengono rilasciate nell’aria e, durante il lavaggio in lavatrice, nell’acqua, entrando nella nostra catena alimentare. Un vero disastro, insomma.

Infine, il mondo della moda, negli ultimi decenni ha intrapreso un massiccio processo di delocalizzazioni produttive verso aree a basso costo di manodopera, principalmente in Asia e in Africa, con evidente sfruttamento di fasce povere di popolazione.

Quando un capo d'abbigliamento può essere definito sostenibile?

Partiamo dall'equità: un capo di abbigliamento deve essere prodotto senza sfruttamento della manodopera a basso costo e, ancora peggio, manodopera minorile. Equità di trattamento degli esseri umani. Quando acquistiamo un capo di abbigliamento con pochi euro, chiediamoci sempre perché costa così poco e se quel basso prezzo che sto pagando non significhi sfruttamento di altri esseri umani. In una buona parte dei casi, purtroppo, significa proprio questo.

Dal punto di vista economico il sistema moda deve garantire benessere a tutta la catena, non solo a chi vende al consumatore. Economia sana genera sviluppo e sviluppo genera benessere. Questo vuol dire che i Paesi che forniscono manodopera devono poter beneficiare degli introiti relativi per modernizzarsi, per progredire e uscire dallo stato di sottosviluppo: dobbiamo pagare di più per una t-shirt, se questo significa  che dei bambini possono andare a scuola.

Infine sotto l'aspetto ecologico l'utilizzo di materiali, trattamenti e procedure di smaltimento che rispettino l’ambiente. Quali sono i materiali ecologici? Di fatto non ce ne sono, purtroppo. Si parla di cotone ecologico, prodotto senza fertilizzanti, né pesticidi, ma questo rappresenta circa l’1% del totale e di nuovi materiali come tessuto prodotto dagli scarti delle arance e pelle fatta dalle bucce di mele.  Ma siamo ancora molto indietro. Due sono ad oggi le strade più efficaci per garantire davvero la sostenibilità: la prima è il riciclo e la seconda è allungare la vita di un capo. Infine il lavaggio: nei tempi moderni ciascun individuo in società evolute ha maturato una forte sensibilità al senso del pulito del proprio abbigliamento e questo ha favorito l’aumento della frequenza del lavaggio, comportamento fortemente influenzato dalle multinazionali dei detersivi, che hanno convinto i consumatori che bisogna lavare i propri vestiti frequentemente, perfino dopo ogni volta che si sono indossati. Questo eccesso di lavaggio è un grosso danno per il pianeta: la lavatrice consuma circa il 17% del fabbisogno idrico di una casa e rappresenta il 25% dell’inquinamento prodotto da un capo di abbigliamento. Il sudore, che genera l’esigenza al lavaggio, è di partenza  pulito,  solo quando viene assorbito dai vestiti inizia ad attrarre batteri e a generare cattivo odore. Il segreto sta nel progettare dei capi che non assorbano il sudore. E la ricerca sta puntando molto su questo, anche se gli interessi in gioco sono molti per chi perderebbe una buona parte del business dei detersivi .Un capo sostenibile è dunque anche un capo che non necessita di essere lavato spesso.

La moda del futuro sarà in grado di soddisfare tutti i requisiti di sostenibilità?

Non sono molto ottimista a riguardo, purtroppo. Da alcuni confronti che ho avuto con altri addetti ai lavori, sono emersi commenti preoccupanti riguardo al fatto che, purtroppo, la crescita demografica e la conseguente domanda di capi di abbigliamento e accessori e, quindi, il loro impatto ambientale, supererà abbondantemente la capacità di incidere sulla sostenibilità da parte dei produttori: in poche parole, si riducono gli impatti su ambiente e società con azioni mirate, ma le nuove numeriche aggiungono ulteriore criticità! 

Dobbiamo altresì constatare che, purtroppo, oggi la moda veramente sostenibile raggiunge delle percentuali irrisorie, a causa di tanti fattori, non ultimo la spinta ancora debole del consumatore. L’impressione onesta, da addetto ai lavori, è quella che ci sia tanto rumore, tanta visibilità, ma azioni che possano veramente fare la differenza, credo ce ne siano poche. Ho sentito spesso dire: “la sostenibilità della moda è una questione di marketing”, come a dire che stiamo recitando tutti una parte. Non credo sia così, ma sono certo che l’efficacia di tutto quello che si sta facendo o si sta provando a fare, sia molto distante dalla reale necessità. 

Il problema vero è che il consumo pro capite di moda è sproporzionato rispetto al reale fabbisogno e quindi, sicuramente, sono molto importanti tutti i passi per avere una moda sostenibile o, almeno, più sostenibile, ma se non si riduce in maniera drastica il consumo pro capite i risultati faranno fatica ad arrivare, anche perché la popolazione, come detto sopra, crescerà in maniera importante. 

Mi ha colpito molto la frase che ho letto in un articolo recente: “fra qualche tempo dovremo decidere se usare l’acqua per coltivare il cotone oppure per bere”. Mi viene da pensare che probabilmente dovremo decidere se usare l’acqua per fare la doccia oppure per bere e la cosa mi inquieta alquanto, considerato che ciò non è affatto irrealistico.

Questa conclusione rafforza il pensiero che ho espresso molte volte e cioè che sono molto importanti la consapevolezza e la formazione su tutti gli individui. Il vivere senza spreco dovrebbe essere un principio insegnato fin dalla scuola materna, con le crude motivazioni, che devono essere patrimonio formativo e informativo di tutti, da piccoli. Dobbiamo smetterla di comprare abbigliamento a basso costo e informarci bene dove e da chi vengono fatti i miei vestiti, perché i miei soldi potrebbero incentivare lo sfruttamento di manodopera.    

S.D.D.

il Canturino NEWS - supplemento quotidiano a Lario News, testata giornalistica registrata (Tribunale LC n. 234/2015)