RUBRICA - C'è stato un tempo in cui possedere un semplice elettrodomestico, come la tv o l'aspirapolvere, era un vero e proprio lusso riservato a pochi. Poi, fortunatamente, la situazione è cambiata e tutti hanno potuto permettersi questi preziosi aiutanti delle faccende domestiche o compagni del tempo libero. Oggi le nostre case sono piene di elettrodomestici che, dopo un certo periodo di tempo, iniziano a scricchiolare e quando questo momento giunge la domanda che ci si pone è: lo riparo o ne compro uno nuovo? Spesso la scelta ricade sulla seconda ipotesi, ma si tratta di un comportamento sostenibile? Lo chiediamo a Pasquale Coppolella, consulente aziendale sulla sostenibilità
Dottor Coppolella, riparare oggetti ed elettrodomestici rientra tra i comportamenti che promuovono la sostenibilità?
La risposta è: assolutamente si, come del resto si faceva qualche decennio fa. Si parla tanto di economia circolare, come concetto di base della sostenibilità, ebbene questo modello di vita si fonda sul cosiddetto paradigma delle 3 R: Riduci, Riusa e Ricicla, dove il Riusa ha affiancata un’altra R: Ripara. Perché non si ripara più allora? Negli ultimi 5-6 decenni la necessità di sostenere i PIL dei Paesi ha generato la cosiddetta crescita per la crescita, diventata l’obiettivo primordiale, unico, dell’economia e della vita. Non si tratterebbe dunque di crescere per soddisfare bisogni reali, il che sarebbe una cosa buona e naturale, ma di crescere per crescere, facendo aumentare artificialmente e indefinitamente la produzione, e quindi il consumo, in un circolo vizioso in cui il vero business è rappresentato dalla creazione di nuovi bisogni che, una volta soddisfatti, cedono in passo ad ulteriori, fino a creare una vorticosa spirale che trasforma il consumatore da soggetto ad oggetto. Rendere più conveniente buttare e comprare un altro oggetto nuovo rientra appunto in questa strategia ed eccoci arrivati al punto. Per sostenere la domanda è inoltre necessario che gli oggetti deperiscano e che ciò avvenga sempre più in fretta. Tale fenomeno, conosciuto come “obsolescienza programmata”, riguarda un’altra strategia messa in atto dalle aziende, volta a definire il ciclo di vita di un prodotto, con la finalità ben precisa di limitare la durata dello stesso ad un periodo di vita determinato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure diventa semplicemente obsoleto agli occhi del consumatore in confronto a nuovi modelli che appaiono più moderni, sebbene siano poco o per nulla migliori dal punto di vista funzionale, pensiamo per esempio ai nostri smartphone, da cambiare ormai ogni due o tre anni. Con l’obsolescenza programmata la società della crescita ha in mano l’arma assoluta del consumismo. Non ci meravigliamo, quindi, se i nostri elettrodomestici si guastano per la rottura intenzionale di un elemento di cui la riparazione diventa complicatissima o comunque eccessivamente dispendiosa. Tale situazione, genera montagne di oggetti, elettrodomestici in primis, che finiscono nelle discariche creando ogni tipo di inquinamento.
Se tutti iniziassero a riparare anziché buttare e ricomprare si potrebbero ottenere risultati importanti in termini di sostenibilità?
Certamente. Allungare la vita dei prodotti, riparandoli, in maniera conveniente, è di fondamentale importanza per la sostenibilità sia ambientale, che sociale. Ricordiamoci che fra poco più di trent’anni saremo 10 miliardi sulla terra, 2,5 miliardi in più di quanti siamo oggi, e il modello di consumismo attuale non potrà più essere perseguito, anche perché non ci saranno più spazi per accumulare rottami: la terra dovrà essere usata per produrre cibo, non per accogliere discariche. Ecco perché l’introduzione dell’Economia Circolare è fondamentale e deve esser insegnata nelle scuole, perché segna il passaggio dal vecchio produci-usa-getta , detto modello lineare, al nuovo produci-usa-riusa-ricicla-ripara , detto modello circolare. Inoltre, la possibilità di riparare consentirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro, rivitalizzando professioni che di fatto non esistono più e che sono state tipiche del nostro sviluppo nazionale. Io mi ricordo perfettamente che qualche decennio fa sia negli elettrodomestici, che anche nelle autovetture, si sostituivano i motori e c’erano persone molto abili a farlo. Oggi la sostituzione del motore non è più prevista in nessun caso, quindi gettiamo via e ricompriamo, sulla base del modello di consumismo di cui dicevamo prima.
Pare, però, che non sia molto semplice da attuare. Spesso riparare un elettrodomestici costa quasi quanto comprarlo nuovo.
Esattamente, tutto programmato ad arte, dal modello di consumo “usa e getta” , come i lama rasoi, appunto, altro punto dolente, secondo me. Però questo modello non è più sostenibile e, seppure magari non ne abbiamo percezione, qualcosa si sta muovendo. Sicuramente non nel verso della riparazione, perché purtroppo non vedo fattibile ritornare al passato. Si sono perse le conoscenze e le competenze artigianali, quelle coinvolte sulle riparazioni, l’elettronica ha preso il sopravvento sulla meccanica e la costruzione degli oggetti è sempre più gestita dall’intelligenza artificiale e codificata nei computer. Tuttavia sta prendendo piede un nuovo modello di consumo: il prodotto come servizio, che implica il superamento dell’idea di prodotto da acquistare/possedere, lasciando spazio a quello di servizio di cui usufruire. In altri termini, per semplificare, immaginiamo una lavatrice installata a casa nostra, non di nostra proprietà, per la quale io pago l’utilizzo, quando la uso. Il tutto controllato a distanza dall’azienda costruttrice via internet. Un po' come la luce e il gas: non pago gli impianti, i fili, eccetera, ma pago il consumo. Il passaggio dalla cultura del possesso a quella del servizio cambia radicalmente l’approccio. Le aziende costruttrici faranno manutenzione regolare e riparazione, essendo nel loro interesse che il bene in deposito presso il cliente duri il più a lungo possibile. Quindi passo dall’ “io possiedo” all’“io uso”, una rivoluzione, che sarà inevitabile nel corso dei prossimi anni, altrimenti non ci sarà più sostenibilità. Del resto, è proprio il concetto di possesso”che ha alimento questo sfrenato consumismo. Oggi compriamo una macchina per 30-40.000 Euro per tenerla ferma per la maggior parte del tempo e vederla svalutare alla velocità della luce . Se io uso la macchina principalmente per andare a lavorare o fare le spesa e avessi un servizio che, a richiesta e prezzi modici mi viene a prendere, mi porta e mi riprende, magari in condivisione con altri, magari senza conducente (sta accadendo già!) cosa me ne faccio della macchina? Libero soldi per le mie vacanze, il futuro dei mie figli e il mio benessere e pago solo se e quando uso. Ebbene, io credo che questo sarà il futuro: dal prodotto al servizio, non vedo alternative e sono certo che la trasformazione non prenderà molto tempo.
S.D.D.