L’INTERVENTO – In due mosse, scacco alla piazza (Garibaldi)

giovedì, 22 settembre 2016

In due sole mosse, la classe dirigente cittadina, di rito leghista e di rito civico, ha dato il più grave scacco all’identità della nostra città, snaturando il luogo che più di ogni altro ne rappresentava la coscienza, la piazza Garibaldi.

Senza neppure rendersene conto, in dieci anni di impazzimento amministrativo, è stato compiuto il genocidio della significazione urbana.

Prima mossa.
La compie la giunta leghista e forzista. Piazza Garibaldi viene snaturata e azzerata, quasi che l'opera non sia altro che un lifting, un ritocchino, un'operazione di chirurgia plastica. Ma l'intervento riesce male e la piazza, oltre a risultare brutta (nonostante il granito dell'Adamello), si mostra anche ottusa, inespressiva, svuotata del suo valore di luogo dotato di un significato; diventa un "non luogo", direbbe l'antropologo Marc Augè.

Le piazze sono sempre state luogo di scambi: di merci, di opinioni, di culture. Attorno alle piazze e ai loro mercati si sono formate nel passato intere città. Ora, secondo una tendenza ancora diffusa a livello planetario, tendono a entrare in crisi. La crisi della piazza fa sì che al suo interno i cittadini non ci si ritrovino più, non vi si riconoscono comunemente. A momenti diversi della giornata, in questo luogo troviamo popolazioni ed eventi motivati da regioni diversissime. Ma tutte collegate con una nuova dimensione del vivere: la spersonalizzazione, il consumo, il transito. Non più luogo di confronto, dunque, ma luogo in cui ci si sfiora, ci si incontra ma non ci si scambia valori, né culturali, né economici. Tralasciamo di rammentare i costi che la comunità si accollò per questo intervento di maquillage urbano, soldi comuni, più di un milione di euro, frutto con altri della vendita del ramo gas di canturina servizi, il gioiello della città di Cantù.

Seconda mossa.
L'ha compiuta la giunta civica: con altrettanta inconsapevolezza della precedente. La nuova piazza Garibaldi ha perduto identità, e tale perdita è in un certo senso specchio della più generale perdita di identità che sembra ormai diventata la cifra di questa anomia dell’oggi. La giunta civica ha quindi permesso che tale non-luogo si trasformasse in un centro di consumo. Di consumo, non di scambio. La nuova piazza è ora il centro del consumo degli alcolici, scenario del culto dello sballo, in cui una pressione di affluenti rende incontrollabile ogni spunto, ogni tensione naturale che lì si manifesti.

Persino le lodevoli iniziative culturali e musicali dei periodi estivi vi sono escluse, spostate nel parco di Villa Calvi.
Al vuoto politico e progettuale delle due amministrazioni cittadine che si sono susseguite in passato si è andata quindi ad aggiungersi una pulsione consumistica ed euforizzante che comporta un indubbio guadagno del privato (del tutto legittimo, sia chiaro) degli alti costi per il pubblico, con aggiunta di fastidi per gli abitanti che subiscono le esternalità negative di questo pasticcio.

Una politica incapace di governare un processo complesso ha finito quindi per compromettere il senso del convivere cittadino. Sarebbero serviti una comprensione critica dei processi vivi nella società canturina e una capacità progettuale che avesse lo sguardo libero e proiettato al futuro, e invece calcoli minimali e interessi di breve portata hanno sacrificato un bene comune agli interessi del momento.

Quelle politiche hanno fallito. Occorre cambiare politica. Cantù deve tornare a guardare avanti e deve riscoprire e ristabilire il senso della convivenza dei suoi cittadini.

 

Filippo Di Gregorio
segretario cittadino Pd di Cantù

 

 

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