COVID – “Non chiamateci eroi”. Dietro le quinte della Protezione Civile di Cantù

giovedì, 23 aprile 2020

CANTÙ - C'è un uomo, in città, che tutte le sere rincasa dopo un lungo turno di lavoro. Accoglie moglie e figli con un sorriso ma tenendoli a distanza, senza poterli abbracciare: un rituale che tutti coloro che sono  impegnati in prima linea nella lotta al Coronavirus conoscono bene.

Lo racconta con il sorriso Luca Montorfano, coordinatore della Protezione Civile di Cantù,  ma la nota amara che gli si arrampica in gola svela tutto lo struggimento nascosto e custodito dietro il grande senso di responsabilità che avvolge tutta la sua persona, come un mantello.

La Protezione Civile si occupa della gestione di calamità ed emergenze, a danno degli uomini e della natura, e in questo periodo è impegnata, a livello locale e nazionale, nella lotta al Coronavirus.

Montorfano, ci racconti la realtà canturina.

Il nostro gruppo è composto da una trentina di volontari con età diverse. Purtroppo alcuni, per ovvie questioni di sicurezza legate a fattori anagrafici, non possono partecipare in questo momento, sarebbe un rischio troppo grande. Il 10 marzo è stato attivato il Centro Operativo Comunale (COC) presso la nostra sede, con una linea telefonica attiva 7 giorni su 7 a disposizione dei cittadini per l'emergenza Coronavirus. Consegnamo spesa e farmaci a domicilio per le persone in quarantena, in situazioni di necessità o impossibilitate a muoversi. I ricoverati al reparto Covid-19 all'ospedale Sant'Anna non possono ricevere visite, allore le famiglie ci affidano spesso oggetti o vestiario da consegnargli, ovviamente se non sono in terapia intensiva.

Un impegno molto ingente.

Sì. Un impegno che investe molte realtà cittadine: lavoriamo in sinergia con i servizi sociali, da cui partono le segnalazioni, il Comune e tanti altri volontari provenienti da Croce Rossa Italiana, Associazione Nazionale Carabinieri, Caritas e l'associazione Incontri mensa Cantù. C'è grande collaborazione, impegno, facciamo del nostro meglio per gestire il contagio che, ad oggi, ha raggiunto circa duecento casi e 25 decessi.

Contagio è una parola che spaventa.

Mentirei se dicessi il contrario, Covid-19 è un nemico invisibile, subdolo, spietato. Ma con il tempo abbiamo imparato a conviverci. Se uno di noi venisse contagiato, tutti gli altri dovrebbero andare in quarantena e non potrebbero più aiutare sul campo: questo è ciò che ci preoccupa di più, per questo motivo osserviamo scrupolosamente tutte le norme di sicurezza.

Com'è stato l'impatto con il reparto Covid-19?

Complicato. Gli occhi stremati di medici e infermieri, dolore,paura, sofferenza. Ho consegnato ai malati oggetti di necessità mandati dalle famiglie e tanti disegni da parte dei nipoti o dei figli, accolti con il più grande dei sorrisi. Come fossero raggi di sole in una giornata buia. È capitato anche di riconsegnare alle famiglie oggetti personali dei loro cari che non ce l'avevano fatta.

Come si affronta una situazione del genere?

Con rispetto, empatia. Io non posso immaginare un dolore tanto grande. Difficile anche solo immedesimarsi: la persona che ami viene portata via in ambulanza, tu rimani a casa in quarantena, non puoi stargli vicino e quando ti comunicano la terribile notizia non puoi vederla neanche un'ultima volta. Non puoi celebrare il suo funerale. Un dolore troppo grande da raccontare, persino da immaginare. Quando vieni coinvolto in queste situazioni le parole faticano ad arrivare.

Quello che fate richiede molto coraggio.

No, no. Facciamo la nostra parte, ma non chiamateci eroi. Sono coloro che vivono questa situazione in prima linea ad esserlo: medici, infermieri e tutto il personale sanitario. Noi diamo il nostro contributo, come tutti, perché solo uniti sconfiggeremo questo male.

SDD

Per contattare la Protezione Civile: tel. 031/720397

 

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