SALUTE – Speranza, condivisione e dolore: la battaglia dell’Istituto Nazionale Tumori

mercoledì, 25 settembre 2019

MILANO - “Tieni le tue paure per te stesso, ma dividi il tuo coraggio con gli altri” diceva Robert L. Stevenson ed è questa la scelta che i medici dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano compiono ogni giorno.

Tumore è una parola che annichilisce silenziosamente: graffia l’anima del paziente che fatica ad esprimere ciò che sente, dilania i suoi affetti più cari che seppelliscono dentro sé ogni timore per mostrare una forza protettiva, è la battaglia che medici e operatori combattono con le armi della scienza, sospesi in quel limbo tra necessario distacco professionale e naturale empatia.

Tumore è una parola che colpisce tutti, ogni essere umano l’ha incontrato almeno una volta, dentro di sé o in coloro che ama, e per molti questo male buio significa perdita, strappo violento, dolore inspiegabile, insopportabile.

Tumore è la parola che racconta l’inquilino sgradito da allontanare e che invece si insinua in ogni comunità senza risparmiare nessuno, neanche i più piccoli.

Tanti passi sono stati fatti dalla medicina, tanti ancora da fare ed è sintomo di una comunità sana reperire i fondi necessari per supportare la ricerca scientifica.

È un coraggio condiviso quello dei tanti volti che popolano l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, tra loro Roberto Luksch, medico del reparto di oncologia pediatrica, che da anni collabora con Il Sogno di Ale, onlus canturina che raccoglie fondi per la ricerca sul sarcoma di Ewing.

Dottor Luksch nel vostro istituto trattate numerosi casi di tumore. Quali sono i sintomi cui un genitore deve prestare attenzione?

Bisogna valutare tutti quei sintomi, magari anche banali, che avvengono in maniera prolungata e non trovano giustificazioni. Una febbre persistente per esempio, o un dolore in un determinato punto del corpo. Segni e sintomi continui nel tempo non costituiscono necessariamente un tumore, vorrei tranquillizzare tutti su questo, ma certamente sono campanelli d’allarme da non sottovalutare.

Molti tumori in età pediatrica sono sconosciuti.

Le leucemie del bambino sono abbastanza note ma ci sono moltissime altre forme tumorali sconosciute che colpiscono i pazienti in età pediatrica, ovvero da zero a quattordici anni. Mi sto riferendo ai tumori solidi che rappresentano il 70% della globalità dei tumori del bambino.

Può citarne qualcuno?

Molto frequenti sono i tumori cerebrali, quelli che colpiscono l’apparato locomotore quindi i muscoli e le ossa, oppure visceri come i reni. Ovviamente la fascia di età incide sulla comparsa di un determinato tipo di tumore, per esempio il sarcoma di Erwin è frequente nell’adolescenza mentre sono più alti i casi di tumore ai reni nella fase prescolare.

Com’è possibile fare una corretta prevenzione?

Nella fascia di età pediatrica è impossibile perché rispetto alla globalità dei tumori l’incidenza del fattore causale legato all’ambiente e alle abitudini di vita è molto limitato. Ovvero sono troppo piccoli per poter dire che la malattia è stata generata da uno stile di vita scorretto quindi sono il risultato di fattori predisponenti. Anche negli adulti ci sono casi scaturiti da fattori predisponenti ma in moltissimi altri i tumori arrivano da uno stile di vita poco sano. I fumatori incalliti ad esempio.

Cosa si intende per “stile di vita sano”?

Alimentazione equilibrata, corretta idratazione, movimento fisico, non fumare ed evitare di esporsi al sole senza protezione o nelle ore più calde. Sono buone abitudini da usare sin dalla nascita. A tutto questo naturalmente va aggiunto il sottoporsi a controlli medici regolari soprattutto laddove esistano casi di predisposizione familiare.

È possibile stimare i casi di tumore infantile nel nostro Paese?

In Italia è presente la rete AIEOP (associazione italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica) che comprende numerosi ospedali e strutture che operano nel campo dell’oncologia pediatrica. Abbiamo, ogni anno, circa 1500 casi di bambini al di sotto dei quattordici anni e circa 800 casi su adolescenti dai 15 ai 18 anni. Fortunatamente, la percentuale di guarigione globale è molto alta, intorno al 70%, questo grazie ai numerosi progressi della comunità scientifica.

Come viene percepita la cura dal bambino?

L’approccio diagnostico e terapeutico è diverso rispetto all’adulto, naturalmente. Bambino e familiari devono essere sostenuti in ogni fase di questo complicato momento. Il piccolo è il nostro primo interlocutore e a seconda della fascia di età mettiamo in atto meccanismi particolari che servono a farlo sentire partecipe al suo progetto di terapia senza aggressività. Un processo complesso che coinvolge tutto il microcosmo che gli gravita attorno composto dai familiari e dai medici.

Lei combatte una battaglia molto dura.

Lo è. Umanamente e psicologicamente. Per questo motivo anche noi medici usufruiamo del servizio psicologico del reparto. Un lavoro di squadra, sotto ogni punto di vista.

Simona Di Domenico

 

 

 

 

il Canturino NEWS - supplemento quotidiano a Lario News, testata giornalistica registrata (Tribunale LC n. 234/2015)